035

CHIESA AL QUARTIERE GALLARATESE A MILANO


LUOGO Milano, Italia
ANNO 1989
TEMA Architettura, Luoghi sacri, Chiesa
STATO Concorso
PROGETTISTI Antonio Monestiroli
COLLABORATORI  Silvia Gambirasio, Luca Morganti, Raffaella Neri 
scenografie Ezio Frigerio


Il progetto di una chiesa, considerato generalmente «il progetto più difficile», pone come questione prioritaria quella della definizione del suo significato. Si tratta di un edificio collettivo, un’aula con un forte valore comunitario. Un luogo in cui una collettività si riunisce e partecipa a un rito che la accomuna. Questo concetto di comunione è il tema su cui si sono impegnati gli architetti di tutti i tempi che si sono applicati alla ricerca di una forma evocativa in tal senso. Ciò che distingue gli architetti del passato dai moderni è la perdita di ogni corrispondenza simbolica fra forma e significato, da cui la grande difficoltà, per l’architettura moderna, a rappresentare il “valore sacro” di un tale edificio. 

Tuttavia se non è possibile credere nel simbolismo di forme come la croce latina, la cupola ecc., che se adottate oggi si mostrano retoriche, è necessario porsi l’obiettivo della rappresentazione del senso dell’edificio, senza rinunciare a una forma monumentale, propria non solo della chiesa ma di ogni edificio collettivo. Per monumentalità intendo l’esatta corrispondenza di una forma al suo più autentico significato. Un esempio di monumentalità raggiunta dall’architettura moderna lo abbiamo, chiaro e prezioso, ed è la chiesa del convento La Tourette di Le Corbusier, un esempio di esatta corrispondenza, un luogo fortemente evocativo, che nell’unità dello spazio, attraverso i suoi rapporti proporzionali, rappresenta il suo senso più generale, il suo carattere. L’edificio di Le Corbusier è una chiesa che non si pone il problema dello “straordinario”, che rifiuta ogni tentativo, alla fine sempre individualistico, di “uscire dal comune”, cercando di interpretare il sacro attraverso forme inconsuete. La bellezza di questo esempio consiste nella semplicità delle forme, nella sapienza con cui Le Corbusier sa riconoscere il sacro nel quotidiano e sa rappresentarlo attraverso un semplice sistema di rapporti. Situata all’interno di una grande area verde, che costituirà l’asse centrale di tutto il quartiere, il complesso di San Romano deve definirsi come sistema autonomo circondato solo da alberi ad alto fusto. I caratteri della localizzazione hanno suggerito l’impianto tipologico: un luogo perimetrato da un muro e diviso in due parti, la prima scoperta, il sagrato, la seconda coperta, la chiesa. Il muro è il recinto che identifica il luogo sacro che ha caratteri simili nelle due parti del sagrato e della chiesa. Il sagrato è aperto su un lato verso gli alberi fra cui il complesso si colloca. Questo avrà così due ingressi successivi posti sullo stesso asse di simmetria, un primo ingresso al sagrato e un secondo alla chiesa vera e propria. Il senso più generale dell’edificio è affidato al recinto che diviene l’elemento costitutivo del tipo adottato. È lo stesso recinto che costruisce il portale di accesso al sagrato e continua, perimetrando il luogo, fino a concludersi con la torre campanaria. All’esterno di questo saranno disposte tutte le funzioni accessorie. La costruzione dell’edificio è strettamente riferita alla scelta tipologica. Gli elementi sono due: il muro costruito in mattoni a vista, il tetto e il fronte della chiesa costruiti in ferro verniciato. Il tetto metallico della chiesa è contenuto fra due lati del muro perimetrale. Il fronte della chiesa, definito da un doppio ordine di pilastri metallici, dà forma compiuta al limite fra esterno ed interno pur consentendo il rapporto visivo fra le due parti aventi entrambe la stessa importanza. L’unità fra le due parti è sottolineata dalla continuità del muro perimetrale che il fronte della chiesa non vuole interrompere. La scelta tipologica ancora suggerisce la distribuzione interna, sottolineando con evidenza la gerarchia dei luoghi. Il luogo centrale è il sagrato e la chiesa che ne è il diretto prolungamento. Con il raddoppio del muro del recinto si definisce un corridoio aperto sul sagrato  ché distribuisce su tre livelli le aule riunione, le aule del catechismo, gli alloggi per i sacerdoti. Nella chiesa prospettano con grandi aperture il battistero, la cappella laterale, la sagrestia. Al piano interrato una grande sala polifunzionale è raggiungibile da una scala posta nella torre campanaria. Il decoro di un edificio, spesso confuso con l’ornamento, è un principio che comprende tutte quelle scelte formali volte a definirne il carattere. Come la costruzione, il decoro deve essere coerente con il tipo, dar senso alla costruzione attraverso la scelta dei materiali e la definizione del loro impiego, deve orientare la scelta degli ornamenti. In generale crediamo che il processo di eliminazione del superfluo, la ricerca della qualità essenziale delle forme, della loro esatta corrispondenza al significato sia la via per la definizione del decoro degli edifici. Per quel che riguarda la specificità dell’edificio religioso credo che il decoro sia da ricercarsi attraverso i rapporti proporzionali, le forme e i materiali della costruzione, il rapporto delle forme con la luce. I rapporti proporzionali della chiesa di San Romano sono studiati non soltanto nella chiesa in sé, ma nella successione sagrato-chiesa lungo l’asse longitudinale che porta all’altare. Il percorso di avvicinamento all’altare è costruito su un asse di simmetria lungo il quale si succedono episodi diversi: il portale di accesso al sagrato, l’apertura laterale del sagrato sul parco, il fronte della chiesa, l’ingresso attraverso la vetrata che divide esterno da interno, l’attraversamento della chiesa fino all’altare, infine l’abside. Tutto converge all’altare. E in questo sistema di relazioni che si definisce i carattere della chiesa e non nelle sue parti singolarmente. La forma di ogni parte e di ogni elemento deve essere riferita a tale successione di luoghi, e accentuarne l’esperienza. I materiali adottati, i mattoni a vista e il ferro verniciato, costruiscono un luogo di per sé disadorno in cui ciò che resta è la qualità dei rapporti fra gli elementi e le loro dimensioni. La luce, che nella chiesa è un fattore determinante, deve contribuire a rafforzare il carattere dell’edificio mettendo in risalto i luoghi significativi. La luce entra dal fronte, dalla grande finestra aperta sul lato destro del presbiterio, dall’abside su cui si apre un lucernario, dalle aperture del battistero e dalle cappelle laterali anch’esse coperte da due lucernari. La luce dunque è concentrata nei luoghi più importanti della chiesa, sull’altare e sull’abside, luoghi in cui converge tutto il sistema prospettico. La finestra nel presbiterio prende luce da un lucernario superiore e non direttamente dall’esterno obbedendo a un principio di riservatezza propria di questo genere di edifici. L’unica apertura all’esterno è quella attraverso la vetrata d’ingresso sul sagrato e, attraverso questo, nel verde circostante. Anche l’ornamento è un capitolo che deve contribuire a definire il principio generale su cui è costruito il progetto, anche l’ornamento deve insistere sulla definizione del senso dell’edificio. Nel progetto l’ornamento è inteso in due modi diversi: un primo illustrativo. Gli spogli muri perimetrali costruiti in mattoni a vista sono di supporto alle statue raffiguranti le figure dei santi e ai dipinti della via crucis. Nell’ampio spazio del presbiterio poi è possibile collocare, dietro all’altare e davanti all’abside, le statue del Salvatore, della Madonna e di San Romano. Un secondo modo in cui è usato l’ornamento è quello decorativo. In questo caso è stata preziosa la collaborazione con lo scenografo Ezio Frigerio. È di Frigerio l’idea di evocare nella chiesa moderna la chiesa antica disponendo lungo il lato aperto del sagrato e in prosecuzione lungo lo stesso lato della chiesa una fila di semi-colonne, costruite in lamiera verniciata capaci di ricordare il margine di un’antica navata e di sottolineare la prospettiva che dall’esterno conduce all’interno verso l’altare e poi nell’abside. L’abside che è uno spazio contratto, contenuto fra due muri distanziati quattro metri l’uno dall’altro si pone come il fondale di un teatro in cui è allestita in modo permanente la stessa prospettiva di colonne questa volta disposte su due lati e a cielo aperto. In analogia con il «mirabile artificio» bramantesco nella chiesa di San Satiro a Milano.



IN

Massimo Ferrari (a cura di) Antonio Monestiroli Opere, progetti e studi di architettura Electa Milano 2001